Quando era ragazzino, Munari, cresciuto a Badia Polesine, una piccola cittadina del Veneto, vicino al fiume Adige, trascorreva molte ore accanto alla ‘Macchina galleggiante’ sull’acqua «ad ammirare lo spettacolo continuo dei colori, delle luci, dei movimenti della Grande Ruota». Osservava la Grande Ruota che dal fiume pescava penne di gallina, pezzi di carta, foglie di alberi, «alghe ed erbe acquatiche verdi come il vetro morbido», in uno scintillio di gocce, con un rumore di pioggia e con un odore misto di farina, acqua, terra e muschio...Un bambino dunque ‘immerso’ nella natura con tutti i sensi, contemplatore attivo, attento alla natura in movimento, all’azione dell’acqua e dell’aria... suggestioni potenti che saprà poi trasformare in creazioni artistiche e far vedere anche a noi in un altro modo il mondo in cui viviamo. Anche da quella esperienza di bambino, così come da tutte le altre (pensiamo a quella con gli artisti futuristi: è venuto a Milano perché li voleva incontrare ed ha iniziato a collaborare con loro già negli anni Trenta), Munari, sempre attento, sensibile, ha saputo trarre un insegnamento, quello che lo ha portato a sviluppare la conoscenza plurisensoriale nei bambini. «Fin da ragazzo - racconta Munari - sono stato uno sperimentatore..., curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa normalmente».«Durante l’infanzia – scrive l’artista – siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione.Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?»E l’artista si chiede con una certa preoccupazione come sarà l’ ‘uomo del futuro’. Forse senza naso e senza orecchi, perché non bada più al rumore e agli odori... Così lo disegna nel suo libro Da cosa nasce cosa e invita i designers a progettare tenendo presenti tutti i recettori sensoriali.
PARLANDO DI TATTO .... MUNARI E I SUOI PRIMI ESPERIMENTI
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Munari, formatosi all’interno del gruppo dei futuristi (non dimentichiamo l’Educazione del tatto annunciata da F.T. Marinetti nel Manifesto Il Tattilismo del 1921), ha pensato a un’arte che coinvolgesse tutti i sensi e non soltanto la vista ritenuta per troppo tempo la sola fonte di conoscenza. Ecco dunque il tatto, il più immediato, come insegnano i bambini.
La prima Tavola Tattile risale al 1931, a questa ne seguiranno altre nel 1943 e nel 1993. Realizzate su tavole di legno, presentano vari materiali come carte vetrate di varia finezza, sughero, corde, metallo, pelle e pelliccia così da offrire diverse sensazioni visive e tattili. Sulla tavola del 1943 l’artista indica i tempi di ‘lettura’ (lento, forte, veloce, velocissimo), come fosse una partitura musicale.
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